L’opera in esame è stata presentata alla collettiva di Lojze Spacal, Zoran Music e Marcello Mascherini allestita nella primavera del 1969 alla Galleria Torbandena di Trieste e quindi acquistata probabilmente da Pio Montesi, che provvederà in più occasioni a incrementare la dotazione di opere d’arte dell’allora Istituto di Architettura.
Spacal era in quegli anni una delle punte di diamante della ricerca artistica della Venezia Giulia, e questa xilografia rispecchia perfettamente quella sorta di epopea carsica che l’artista aveva messo in scena a partire dagli anni cinquanta esplorando progressivamente le potenzialità del mezzo incisorio, sino a riprodurre anche fisicamente gli aspri rilievi di quel territorio: «è il mondo dal quale l’incisore ha attinto i pensieri raccolti in secoli di lavoro, di volontà, di abnegazione, di lotta con la natura, in secoli che dettavano un ordine particolare, silenzio e sobrietà. L’artista non ha mancato di dar fede a nessuno di questi elementi: con la mano, apparentemente pesante come quella del lavoratore di pietre e dell’intagliatore del Carso, li ha colti in immagini durature ed inevitabili, come una realtà anche oggi continuamente presente, una realtà cui il ritmo contemporaneo deve assoggettarsi se vuole esistere, se vuole avere un senso anche lì dove altrimenti nessuno ne avvertirebbe la mancanza» (A. Bassin, Lojze Spacal, Maribor, Založba obzorja, 1967, p. LXIV).
Come spesso succede nelle tirature xilografiche di questo momento della produzione di Spacal, i singoli fogli presentano alcune difformità dovute all’utilizzo di più legni che possono presentare inchiostrature diverse. A questo proposito, nel caso dell’opera in esame si può evidenziare come l’esemplare riprodotto nel catalogo generale della grafica presenta un minuto tratteggio nelle campiture bianche sulla destra (cfr. Spacal. L’opera grafica 1935-1986. Catalogo generale, a cura di C. Ceschel, L. Spacal, Treviso 1986, pp. 112-113, n.129).