Non sono note le circostanze dell’approdo di quest’opera nelle collezioni del Centro Internazionale di Fisica Teorica Come per molte delle xilografia di questo momento della carriera di Spacal, anche per quella in esame si possono rintracciare redazioni autonome grazie all’utilizzo di legni con inchiostrature diverse. Si sposano bene a quest’opera alcune importanti osservazioni dell’artista a proposito della xilografia e della sua componente ‘sociale’: «perché preferisco la xilografia? Questa è più aderente al mio temperamento, dato che amo i forti contrasti timbrici in larghi campi tra bianchi e neri o le punteggiature del legno dolce segato di testa. C’è però anche una ragione sociale: di poter offrire cioè a trenta persone a basso costo la stessa opera originale fatta col massimo impegno e responsabilità, ciò che non accade sempre nella pittura trattandosi di una opera unica» (Ia Triennale Internazionale della xilografia contemporanea, catalogo della mostra di Carpi, Castello dei Pio giugno-novembre 1969, a cura di E. Tavoni, E. Guidi, Carpi, Città di Carpi, 1969, p. 234). Il tema affrontato, ancora una volta un ancestrale indagine sulle realtà sociali ed economiche dell’Istria, «rispecchia la sua condizione umana, che affonda le radici in una particolare cultura mitteleuropea, quella triestina, in un determinato paesaggio, quello che dalle doline carsiche scende al litorale istriano, e in una specifica temperie popolare (non folcloristica), dove il contadino del Carso, l’operaio della periferia di Trieste, il pescatore dell’Adriatico diventano i simboli di un’amara umanità» (R. Pallucchini, Il cammino di Spacal, in Luigi Spacal opera grafica 1936-1967, a cura di G. Montenero, Milano, Vanni Scheiwiller, 1968, pp. 4-5).