Il Ritratto di Dario de Tuoni, personaggio chiave della cultura triestina della prima metà del Novecento, è stato donato all’Università degli Studi di Trieste dal professor Elvio Guagnini che a sua volta lo aveva ricevuto da Frida de Tuoni nel 1992 (E. Guagnini, Introduzione, in La biblioteca «Dario de Tuoni», a cura di A. Crozzoli, serie "I Quaderni dell’Archivio", 8, Trieste, Archivio degli scrittori e della cultura regionale, 2001, p. 2), dopo che in occasione del centenario della nascita dell’effigiato (Innsbruck 1892 – Trieste 1966), erano state allestite in suo onore una tavola rotonda e una mostra documentaria.
I profondi e spesso amichevoli contatti che De Tuoni ebbe con molti esponenti del panorama artistico giuliano, sono alla base dei numerosi ritratti che di lui furono eseguiti. I più noti sono probabilmente l’intensissima tela firmata da Vittorio Bolaffio prima o durante il 1923, e il busto in gesso modellato nel 1924 da Ruggero Rovan. Un de Tuoni ben più maturo emerge invece dal vivace ritratto a mezzobusto eseguito nel 1946 da Adolfo Levier, che in precedenza aveva esposto un Ritratto del Prof. de Tuoni, di cui non si conosce l’ubicazione, alla sua mostra personale allestita alla Galleria d’Arte Trieste nel del 1940 (Marini 1940, p. 5; Sgubbi 2001, p. 258).
Opera della piena maturità del pittore, il ritratto dell’intellettuale triestino mostra tutta l’efficacia del suo tratto, diventato ormai quasi stenografico, nel definire gli elementi accessori, a cominciare dallo sfondo appena accennato, per concentrarsi invece sull’enucleazione dei tratti somatici e sugli occhi penetranti, che donano all’effigiato un’espressione assorta e concentrata. Per l’occasione Levier recupera gran parte della componente kokoschkiana del suo linguaggio quando «il livello di autonomia linguistica raggiunto dal triestino dalla metà degli anni Venti lo pone in assonanza d’impostazione generale con la produzione kokoschkiana: sono alcuni elementi di analisi visiva comuni a creare un legame ideale» (Sgubbi 2001, p. 29). Una componente che in quegli anni quaranta stava lentamente abbandonando in favore di una dimensione di «pittura “scura” per il rafforzamento dei contorni neri e per il forte contrasto luministico» (Sgubbi 2001, p. 32).