Criticato per l’eccessiva prossimità del suo stile a quello di Casorati (Ghiglione 1953), Gianni Vagnetti accolse con entusiasmo l’invito del rettore Ambrosino a partecipare all’Esposizione Nazionale di pittura italiana contemporanea intessendo con lo stesso Ambrosino una fitta corrispondenza, conservata presso l'Archivio dell'Università, volta a precisare i dettagli della manifestazione e a fornire suggerimenti utili per il corso di critica d’arte organizzato a margine dell’evento (Lettere al Rettore Ambrosino, 4 agosto, 29 e 30 settembre 1953; Lettera di Rodolfo Ambrosino a Gianni Vagnetti, 30 settembre 1953). Tali contatti proseguirono anche a mostra conclusa sia per le richieste dell’artista di ricevere gli articoli ad essa inerenti comparsi sulla stampa giuliana e nazionale, sia per reclamare la restituzione del dipinto (Lettere al Rettore Ambrosino 28 dicembre 1953 e 22 gennaio 1954). Preoccupato di non riavere l’opera in tempo per la sua partecipazione a nuova esposizione (Lettera al Rettore Ambrosino, 5 febbraio 1954), Vagnetti rischiò di far scoppiare un piccolo incidente diplomatico dovuto alla lentezza delle comunicazioni con il rettore ma che si risolse felicemente con la proposta di acquisto del dipinto da parte dell’Università per la cifra di centomila lire (Lettera di Rodolfo Ambrosino a Gianni Vagnetti, 6 febbraio 1954). Soddisfatto alla notizia della visibilità che l’Esposizione aveva ricevuto sui quotidiani e periodici del tempo, l’artista accolse di buon grado la proposta, felice di entrare nel novero dei pittori scelti per impreziosire gli ambienti dell’Ateneo giuliano (Lettera al Rettore Ambrosino, 12 febbraio 1954).
Il dipinto può essere assunto a modello della nuova fase che attraversa la pittura di Vagnetti negli anni Cinquanta. Come rileva Luigi Cavallo (1975, p. 87), il pittore “rimettendo in discussione gli elementi strutturali e compositivi, riesamina la forma tenendo presente i suggerimenti plastici e i risultati stilistici del postcubismo”, senza giungere a effetti di astrattismo ma approdando a una diversa e più complessa organizzazione spaziale. Non è solo il postcubismo, tuttavia, a caratterizzare questa stagione stilistica né a determinare in modo esclusivo l’opera in esame: se Figura in blu evoca immediatamente gli esordi di Picasso e la malinconica rassegnazione di cui erano ammantati i personaggi dei suoi primi lavori, la parte del titolo che recita Al caffè richiama i soggetti trattati dall’impressionismo ma qui svolti dando voce al senso di solitudine che Vagnetti sembra individuare come caratteristica tipica dell’essere femminile svolgendo questo tema in una serie di dipinti affini a quello in esame tra cui Figura in grigio e L’absinthe.
Avviato al disegno dal padre Italo, a sua volta scultore, Vagnetti frequentò la Scuola Libera del Nudo di Firenze vincendo nel 1918 il concorso Stibbert con l’opera Dopo il bagno. Inizialmente influenzato dallo stile postmacchiaiolo di Ciani e Spadini, si volge lentamente a una pittura di maggiore intimismo su cui pesa la frequentazione di Felice Carena (professore dell’Accademia fiorentina di Belle Arti dal 1924) e la vicinanza agli ideali di Novecento che nel 1927, proprio nello studio di Vagnetti, vede la nascita del suo ramo toscano. Fondatore assieme ad Andreotti, Romanelli, Maraini e Bacci del Sindacato Italiano di Belle Arti (1925), nel 1929 realizzò il ritratto dal vero di Mussolini destinato al Viminale ed esposto invece nella sala del direttorio del partito a Roma. Presente alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali di Roma e alle principali mostre del Novecento in Italia e all’estero, a metà degli anni Trenta iniziò a dedicarsi alla scenografia diventando presto collaboratore del Maggio musicale. Docente di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Firenze, si dedicò al cartellone pubblicitario, alla decorazione di ceramiche e a progetti di arredamento. Morì il 19 marzo 1956.