Tra le opere esposte alla mostra Esposizione nazionale di pittura italiana contemporanea allestita nell’Aula Magna nel 1953 e confluite nelle collezioni dell’ateneo, quella di Afro è certamente quella che ha goduto di maggior visibilità, essendo stata presentata nel corso degli anni a numerose esposizioni in Italia e all’estero. In occasione della mostra triestina Ricordo d’infanzia aveva riportato il secondo premio solo in virtù di una sfortunata votazione che aveva invece premiato Giuseppe Santomaso. In quell’occasione la giuria aveva così motivato la sua scelta: “è una delle opere più concluse dell’artista, che ha saputo esprimere nella raffinata armonia dell’atmosfera colorata la trasposizione lirica di un ricordo o, meglio, di un ripensamento dell’infanzia veduta attraverso la prospettiva del sogno”, evidenziando quindi “lo spunto surrealista” risolto “tentando di risolvere l’antitesi tra la scrittura automatica e la controllata scelta degli elementi” compositivi.
Pesava in quelle scelte il decisivo influsso della pittura di Arshile Gorky: “attraverso Gorky […] Afro può fare l’esperienza di un’intima coesione tra emozione ed espressione, sensazione e figurazione, nell’identità che si concreta nello stendere il colore sulla tela […] cogliendo così dal surrealismo non un repertorio di simboli, e neppure un pregiudiziale, assoluto automatismo, ma un modo più diretto di realizzarsi nella pittura” (Caramel 1992, p. 33).
E sarà lo stesso Afro a precisare i termini di questa filiazione nella sua memorabile presentazione al catalogo della mostra allestita dall’artista di origine armena alla romana Galleria dell’Obelisco nel febbraio del 1957: “intrepido, emozionato, pieno d’amore Arshile Gorky mi ha insegnato a cercare la mia verità senza falsi pudori, senza ambizioni o remore formalistiche. Da esso ho appreso più che da qualunque altra, a cercare soltanto dentro di me: dove le immagini sono ancora radicate alle loro origini oscure, alla loro sincerità inconsapevole”. Una sincerità che Afro sembra in grado di poter precisare progressivamente nelle sue opere migliori del primo scorcio degli anni cinquanta: al 1951 risale un Giardino d’infanzia e data novembre 1952 un dipinto intitolato Ricordo d’infanzia oggi al Musée des Beaux-Arts di La Chaux-de-Fonds, e per composizione e scelte cromatiche possono essere associati all’opera in esame anche Figura I, Figura II e Il Sigillo rosso realizzati in quello stesso 1953 e oggi conservati in collezione privata a Roma (cfr. Afro. Catalogo 1997, nn. 309-310), lavori che possono essere letti come un naturale corollario alle scelte compositive messe in atto in questa circostanza. Colpisce in queste tele, e soprattutto in quella triestina, la sensualità del colore e la ricchezza dei passaggi tonali, degni per certi aspetti del miglior Tiziano. Scriverà pochi anni dopo James Johnson Sweeney nella sua monografia sull’artista: “nella pittura di Afro attraggono soprattutto le qualità sensuali: colore, ritmo, rapporti di spazio, effetti di luce. Qui Afro attinge profondamente, è naturale, dalla sua eredità. In tutta la sua opera egli resta un artista tradizionale nel senso migliore della parola. Ma alla base della sua arte si rivela, sempre, una sensibilità sua: un istinto infallibile nel trattare i propri mezzi, capace di imprimere nei suoi quadri quelle doti di immediatezza, grazie e felicità per cui oggi Afro si identifica come il puro lirico della pittura contemporanea” (Afro 1961, p.11).
Così scriveva Afro in una lettera a Umbro Apollonio scritta tra il gennaio e il febbraio di quello stesso 1953, quasi a voler spiegare la genesi di questi dipinti: “sebbene a molti i miei quadri sembrino delle divagazioni arbitrarie, io tendo sempre a dare alle mie immagini pittoriche la maggior efficacia espressiva, la più evidente. Queste immagini sono ancora un corrispondente poetico della realtà, di cui la memoria conserva la parte più essenziale, rifiutando tutto [ciò] che sia pratica ed esperienza. Una realtà decantata, direi liberata da legami razionali per cui delle cose vorrei arrivare alla figurazione più diretta e concisa – direi all’idea delle cose. Evidentemente una forma pittorica in me non nasce mai solamente come forma, né un colore si giustifica solo nel suo rapporto di valore e di spazio, ma ha bisogno di caricarsi di un significato espressivo, direi di sentimento, per cui una forma dovrà avere un determinato carattere e il colore quel particolare timbro e il segno quella immediata trepidazione che hai nell’urgenza di dire una cosa che ti viene da dentro quando non vai a cercare il modo più bello per esprimerti, ma sei unicamente preoccupato di esprimere il concetto” (cfr. Afro. Catalogo 1997, p. 389).