Federico Righi, artista autodidatta, sin dalla gioventù si era appassionato allo studio della pittura murale studiando gli affreschi dei maestri del Quattrocento italiano. Aveva esordito con un vibrante espressionismo che lo aveva posto all’attenzione della critica. Trasferitosi nella Capitale aveva avuto la possibilità di partecipare alle grandi mostre, quali le Quadriennali, nonché di esporre alle Biennali Internazionali di Venezia. Nelle sue opere giovanili, che risalgono al “periodo triestino”, si ritrovano principalmente vedute della città vecchia, rappresentazioni piene di ombre e di fantastiche lumeggiature. Come una nutrita serie di artisti, anche Righi si avvicinò all’esperienza picassiana, giungendo poi ad esiti diversi. Spirito mobile e inquieto sperimentò vari stili. Le sue vedute dei tetti di Trieste, di Roma e Parigi sono sempre puntuali e sollecite nel cogliere la particolare atmosfera dei
luoghi. Per quanto la rielaborazione geometrica incida su di esse, sono forti affermazioni di personalità e di stile. Remigio Marini, in una recensione dedicata all’artista apparsa sulla rivista Umana scrisse: “Tutti sanno che Righi ebbe diversi amori; e prima di quel Modigliani, e poi, vedemmo nella pittura di Federico qualche po’ di Cézanne e molto Goya, parecchio Van Gogh e ancora più Gauguin, senza dimenticare Picasso e Braque e qualche ombra di Chagal e molto Klee. Tutta questa pittura moderna e modernissima fu la gioia e il tormento, la passione e un po’ la disgrazia di Federico Righi”.
Per quanto concerne l’opera presentata in catalogo, sappiamo che l’artista da Roma rispose entusiasticamente all’invito del Magnifico Rettore Rodolfo Ambrosino di partecipare all’Esposizione di Pittura Italiana contemporanea presentando un dipinto realizzato un anno prima a Parigi. Dalle relazioni conservate presso l’Archivio Storico dell’Università, presumiamo che l’opera, prima di arrivare alla mostra, si trovasse già a Trieste in quanto, venne consegnata a mano il 19 ottobre 1953 e non tramite la ditta di trasporti Tartaglia, incaricata al trasferimento delle opere provenienti da altre città. L’architettura del quadro e gli impasti mostrano una maturità artistica esemplare legata all’esperienza vissuta a Parigi ed orientata alla corrente artistica postcubista. Affascinante osservare che anche il retro dell’opera è stato dipinto dall’autore: una parte risulta bianca, soluzione adottata per nascondere un’alta opera. Emergono infatti tre lacerti dai quali si riconosce una figura maschile, a torso nudo con aureola. Al momento dell’assegnazione del premio istituito per l’artista giuliano, l’opera I Tetti di Parigi, ricevette un certo consenso da parte degli artisti provenienti dalle altre regioni. Ad aggiudicarsi il primo premio di lire 200.000, con 6 voti di referenza, fu però Nino Perizi con l’Omaggio a Garcia Lorca seguì, con 5 voti, Il giardino di Edoardo Devetta, e al terzo posto, con due voti, l’opera in esame.